“Diglielo tu, Lucy”, disse la Signora Natale.
“Che gli dovrei dire?”
“Che deve portare pazienza riguardo all’abito. Conta che non tradisca le aspettative delle bambine e dei bambini.”
“Da quando è andato fuori di testa?”
“Lucy, per favore!”
“Scusami…Intendevo dire, è la prima volta che si comporta così?”
“Sì. È successo all’improvviso. Una mattina ha aperto l’armadio e mi ha detto guardando i suoi vestiti da lavoro:«Sono stufo». Ha sbattuto le ante e se n’è andato.”
“E tu?”
“Subito non ho capito, ma poi riflettendoci, ho capito che ce l’aveva con il suo vestito da lavoro.”
“Brutta storia e…non sei riuscita a dirgli niente?”
“No, era troppo arrabbiato. Ho lasciato correre.”
Lucy guardò fuori dalla finestra. La neve scendeva lenta. Da quando era entrata in quella casa e in quel giardino, le sue giornate erano cambiate. Avere a che fare con dei vicini così, l’aiutava a immaginare un futuro diverso. Le imprese di Babbo Natale e della sua Signora erano salvifiche, il rispetto che nutrivano l’uno nei confronti dell’altro, anche.
Lucy s’accomodò sulla sedia a dondolo.
“Da sedute, si riflette meglio”, pensò.
La Signora Natale, invece, andò in cucina e accese il fornello. Una tisana alle more con i biscotti alla mela candita ci volevano.
“Che state combinando voi due?”, chiese Babbo Natale rientrato dal bosco con la legna da ardere.
“Niente”, rispose la Signora Natale intenzionata a tenere la bocca chiusa su quanto si erano dette.
“Veramente, stiamo combinando qualcosa”, replicò Lucy che non aveva nessuna intenzione di tacere.
“Ovvero?”, chiese Babbo Natale.
La Signora Natale minacciò Lucy con un’occhiataccia, ma lei fece finta di non vedere. Quello che stava accadendo era molto grave. Il Mondo aveva bisogno di Babbo Natale!
“La Signora Natale-replicò Lucy- mi stava dicendo che è da un po’ di tempo che non condividete la lettura di una favola!”
“Siete troppo grandi per queste cose”, rispose Babbo Natale con tono perentorio.
“Non si è mai troppo grandi per sognare insieme- ribatté Lucy- Anzi! Se tutti lo facessero, ci sarebbero meno guerre.”
“Già, le guerre”, annuì Babbo Natale, con così tanta tristezza che Lucy s’azzittì.
“Lucy ha ragione. Leggici una delle tue favole.” disse la Signora Natale.
“E quale?”
“I chapati di Joyce”.
“Ma quella non è una favola”
“Poco importa”, ribatté la Signora Natale, che non aveva nessuna intenzione di dargliela vinta.
Babbo Natale, che nel frattempo aveva ripreso le redini della situazione, estrasse dall’archivio il suo corposo quaderno delle storie. Si sedette sulla poltrona verde muschio e iniziò a leggere a voce alta.
“I chapati di Joyce – disse – So di un panificio che sforna delizie, le più buone al mondo. Serve tutto il vicinato, scuola del villaggio compresa. Chi ci lavora ha un Sogno che, con pazienza e tenacia, coltiva ogni giorno: servire bontà e trasmettere un mestiere a chi sceglie di apprenderlo, per essere utile anche a tutta la comunità.
Nel panificio, lavora una donna speciale: Joyce è il suo nome. Cucina chapati altrettanto speciali, quasi miracolosi. Sono talmente buoni che vanno, in quattro e quattr’otto, a ruba.
La sua ricetta è famosa. Tutti la conoscono e in tanti la cucinano ma, non si sa come, quelli preparati da lei superano ogni aspettativa.
Un giorno, mentre Joyce era al lavoro, passò davanti al panificio una bambina dallo sguardo triste.
Joyce, che sapeva l’effetto benefico sortito dai suoi chapati, la fermò e gliene porse uno.
“Prendi”, le disse.
“No, grazie. Non posso…”, rispose la piccola abbassando lo sguardo.
“Coraggio, mangia”, replicò Joyce, che aveva capito al volo il motivo di quel diniego.
La bambina non se lo fece ripetere due volte: lo prese con entrambe le mani e l’addentò con una tale avidità che Joyce s’ imbambolò nell’assistere a cotanta passione; e attese il momento opportuno per rivolgerle quella domanda che poneva a tutte le bambine e i bambini incontrati per la prima volta.
Quando vide che la piccola aveva terminato di mangiare il suo chapati, le chiese:
“Qual è il tuo nome?”
“Faridah”, rispose lei con un pizzico di orgoglio.
“Significa unica, eccezionale”, replicò Joyce sorridendo.
“Anche la mia mamma cucina il chapati, ma il tuo è più saporito”, ribatté Faridah, cambiando discorso.
“Sai anche il perché?”, domandò la donna soddisfatta per quel complimento.
Faridah tacque. Forse, pensava di trovare la giusta risposta negli utensili adocchiati nel laboratorio di Joyce. Li passò tutti in rassegna: la piastra, le farine, il sale e le palline di pasta già pronte per essere infornate. Assomigliavano a quelli visti nella cucina di casa, perciò, si limitò a dire:
“Anche la mamma cucina così”, disse indicando gli utensili.
“Ritornando a noi – ribatté Joyce- sai perché il mio chapati è diverso?”
“No, non lo so”, replicò Faridah guardandola con i suoi occhi neri come l’ebano.
“Hai mai notato se il cuore della tua mamma sorride mentre li prepara?”
“Ma il cuore non può sorridere.”
“Il mio, sì e…forse, anche il suo.”
“Cosa c’entra con il chapati?”
“Tutte le cose fatte con il cuore sorridente sono sempre le migliori, perché si nutrono della felicità di chi sa di servire.”
“Anche la mia mamma serve.”
“Eccome se serve – replicò Joyce – non avevo alcun dubbio ma, ahimè, non tutti lo sanno, Faridah. Solo chi s’ apprezza sa di essere utile. Perciò, il cuore gli sorride.”
La piccola ascoltò senza controbattere. Poi, uscì sul patio e lì sedette, muovendo il dito nella polvere come se stesse disegnando o scrivendo. Infine, s’alzò e fece per andarsene.
“Faridah – disse Joyce con la sua voce sostenuta- passa quando vuoi e abbraccia la mamma, anche da parte mia.”
“Grazie”, rispose la piccola e, in quel preciso istante, un raggio di sole la illuminò come per cullarla.»
Terminata la lettura, Lucy e la Signora Natale s’accorsero che, sulla guancia di Babbo Natale, scendeva una lacrima.
“Con tutte queste guerre, non so se quest’anno ce la farò”, disse.
“A fare cosa?”, chiese Lucy.
“A far felici tutti e…”
“Faridah ti ha scritto?”, lo interruppe la Signora Natale.
“Sì.”
“Cosa chiede?”
“La ricetta e i chapati di Joyce per la sua famiglia e per tutto il vicinato”.
La Signora Natale aprì il faldone della posta, cercò sotto la lettera J ed estrasse un foglio manoscritto.
“Leggi tu Lucy, per favore”, chiese la Signora Natale.
“Metti in una ciotola 160 gr. di farina integrale e 80 gr. di farina 00. Sciogli in 170 gr. di acqua, mezzo cucchiaino di sale e aggiungila alle farine. Mescola e versa il contenuto su una spianatoia infarinata. Impastalo per almeno 10 minuti, fino a ottenere una pasta soda e liscia. Poi, forma una palla, riponila nella ciotola, coprila con un canovaccio e lasciala riposare per 20 minuti. Quindi, rilavorala dandogli una forma allungata. Dividila in 8 pezzi e forma delle palline che stenderai in dischi sottili di 15 cm. di diametro.
Quando la padella sarà ben calda, fai cuocere i dischi di pasta, uno alla volta. Dopo un paio di minuti circa, compariranno delle bolle sulla superficie: gira il disco di pasta, fallo cuocere anche da quel lato e, una volta cotto, coprilo con uno strofinaccio: servirà a mantenerlo morbido. Poi, continua con la cottura degli altri dischi. Un consiglio? Mentre cucini, sorridi più che puoi e buon appetito, Faridah! Firmato, Joyce”[1]
“La ricetta c’è, i chapati anche. Ci penserà Joyce a cucinarli per tutti. Non è forse un buon inizio?”, chiese la Signora Natale.
Babbo Natale non rispose. Gli sovvenne, però, un adagio: “Ogni lungo viaggio inizia con un primo passo”. Aveva ragione sua moglie: i chapati di Joyce erano un ottimo inizio. Il primo passo per ricominciare.
A Babbo Natale scappò un mezzo sorriso che fu notato subito dalle sue interlocutrici.
“Tutto è bene ciò che finisce bene – disse Lucy dirigendosi verso l’uscio – a bientot mes amis!”
Fuori nevicava ancora e il pettirosso, appollaiato sul vischio, si guardava in giro con fare guardingo.
Gli abeti attorno assomigliavano a degli Yeti, tanto erano possenti e bianchi. Lucy si fermò ad ammirarli e respirò a pieni polmoni. Lemme lemme, si diresse verso casa, palleggiando con i fiocchi di neve che gli capitavano a tiro.
Note:
[1] Laricetta del chapati, si è ispirata a “Ricette ugandesi”, divulgate dalla “Fondazione Italia-Uganda ONLUS”. È davvero speciale! (ph. “Il nostro chapati” by Barbara Anna Gaiardoni).
Motivazione della giuria
L’autrice, attraverso un lessico limpido e lieve, conduce nel soave territorio visionario di una favola che si fa storia sovvertendo l’iconografia della leggenda natalizia: Babbo Natale non è l’omone, barbuto e pancione, che annuncia i doni ambiti con la sua espansa risata, ma una persona fragile che si affligge per la miseria terrestre, con le sue lotte e le sue ostilità.
Le guerre hanno compromesso ogni allegria e spensieratezza, e, così, il ‘grande buono’ dal vestito rosso non sa se- quest’anno- riuscirà nel suo compito. Ma Joyce, la donna dal cuore intatto, impastando i chapati col sorriso, si fa emblema di redenzione e soluzione dei mali: solo la felicità di chi “sa di servire” riesce a creare le cose migliori.
Il racconto, in tal modo, col suo dipanare delicato ed evocativo, sortisce l’effetto di una brezza delicata e foriera; esso è un piccolo vento che, con la leggerezza di un linguaggio lineare e, nondimeno, tagliente, trasferisce un’immediata e pervasiva dolcezza che culla, alfine, la speranza di poter combattere le involuzioni e gli orrori della storia collettiva con piccoli gesti singoli colmi di amore e accompagnati da gioia.
La ricetta, così, non è solo elenco di ingredienti e grammature, ma il fulcro di rinnovata filosofia esistenziale, perché è importante la cura degli altri, ma, anche, la stima e il riguardo per la propria persona che sa rendersi preziosa per loro: solo il bene per se stessi si traduce in amore per il prossimo, dentro un tempo, non- forse- così utopico, in cui ciascuna Faridah potrà avere il suo chapati.
Premio assegnato all’autrice: astuccio QuattroQuarti – edizione limitata ed sclusiva offerto da Palamenga – Mani d’Italy.
Biografia autrice Barbara Anna Gaiardoni
Autrice per vocazione, pedagogista di professione, violinista in gioventù.
Adora la cioccolata, cucinare per gli affetti, leggere, viaggiare con chi ama, camminare nella Natura, coltivare Sogni.
Ha pubblicato tre libri, un racconto breve e un romanzo rosa sotto pseudonimo.
In ambito editoriale, ha rivestito la mansione di ghostwriter.
Dal lockdown ad oggi, ha partecipato a un ingente numero di concorsi letterari e poetici come autrice di testi, che sono stati selezionati e pubblicati in diverse antologie.
Pubblica haiku, senryu, tanka, haibun, haiga, anche in lingua inglese, per la “The Haiku Foundation”, il “Cold Moon Journal”, il “Five Fleas – Itchy Poetry”, lo Scarlet Dragonfly Journal e per il “Fresh Out: an Arts and Poetive Collective”, per il “The Wise Owl Magazine”
Dal 2020 collabora con un mensile, “Verona Sette”, dove cura una rubrica di posta: “Alla Piccola Posta”.
Nutre una passione per il gesto grafico-pittorico che pratica componendo haiga, disegni su biglietti augurali e storie illustrate.
«Posso, devo e lo farò» è il suo mantra.
Nasce a Verona, città che ama.
Sono felice, Giulia. Grazie di cuore per tutto!
Barbara Anna
Complimenti, il tuo raccolto è molto lieve e delicato (e l’espressione serena del tuo volto nella foto conferma l’impressione)
Buongiorno Guido, grazie per il suo commento che leggo solo ora. Meglio tardi che mai ed io ci credo che non sia mai troppo tardi. Buona giornata!
Grazie carissima di avermi inclusa in un momento della tua vita! Che grande dono è la VITA.
Un passo alla volta…… l’ho sto imparando con l’età. Fare una piccola cosa alla volta , aggiungendo sempre un po’ di amore come ingrediente. FUNZIONA.🙌
Grazie a te, carissima Maria Rosa. Vero! La Vita è un grande dono. Credo anche che nessun incontro venga a caso. A presto 🙂
Barbara Anna